La legge Basaglia e la chiusura delle istituzioni manicomiali Isabella Sbicego 20/06/2022

La legge Basaglia e la chiusura delle istituzioni manicomiali

“Un’istituzione totale può essere definita come il luogo di resistenza e di lavoro di gruppi di persone che, tagliate fuori dalla società per un considerevole periodo di tempo, si trovano a dividere una situazione comune, trascorrendo parte della loro vita in un regime chiuso e formalmente amministrato. Prenderemo come esempio esplicativo le prigioni nella misura in cui il loro carattere piú tipico è riscontrabile anche in istituzioni i cui membri non hanno violato alcuna legge. Questo libro tratta il problema delle istituzioni sociali in generale, e degli ospedali psichiatrici in particolare, con lo scopo precipuo di mettere a fuoco il mondo dell’internato”. Cosí scriveva Erving Goffman in apertura di “Asylums”. Nel 1955 Goffman si trasferisce nel manicomio di St. Elizabeth a Washington per studiare il comportamento di pazienti, infermieri e medici. Vi resta diciotto mesi, in incognito, prende appunti, frequenta ambulatori, corsie, stanze, aree comuni, scantinati, cucine, magazzini. Si interessa in particolare degli scambi legali e illegali tra pazienti, delle loro relazioni reciproche, delle interazioni con il personale medico e paramedico, delle cerimonie d’ingresso, orari, cibo, curiosa tra gli oggetti personali dei degenti: soprammobili, abiti, libri, mazzi di carte.

Asylum esce nel 1961 e ha un impatto notevole non solo sugli addetti ai lavori ma anche sul pubblico dei lettori colti americani. Il volume rende popolare una formula che condensa il senso dello studio, la formula istituzione totale. Le istituzioni totali sono quei luoghi, quegli spazi chiusi nei quali vengono segregati gli individui ritenuti pericolosi o scomodi per la società. Nel novero di queste persone rientrano gli incapaci non pericolosi quali ciechi, vecchi, orfani, indigenti o gli individui invece pericolosi per la comunità internati in sanatori, ospedali psichiatrici, lebbrosari o ancora quelli altamente pericolosi o ritenuti tali e quindi rinchiusi in prigioni, penitenziari, campi di prigionia, lager. Sono totali anche le istituzioni create per svolgere in un luogo concentrato alcune attività ben determinate e in tal caso Goffman si riferisce a caserme, navi, collegi, campi di lavoro, piantagioni coloniali. E ancora ambienti in cui ci si isola volontariamente dal mondo quali abbazie, monasteri, conventi e chiostri. Ognuna di queste realtà ha una propria storia che risale al medioevo o all’inizio dell’età moderna come ha mostrato Foucault, che su questi temi ha lavorato in contemporanea con Goffman. L’idea da cui parte lo studioso americano è che normalmente nella vita moderna gli uomini tendono a dormire, lavorare, frequentare persone e divertirsi in luoghi diversi e sotto differenti autorità, seguendo schemi razionali tra loro vari: pur essendo la stessa persona ci si comporta in un modo in ufficio e in un altro in un bar o in un locale notturno. L’istituzione totale unifica, invece, in un medesimo luogo e sotto un’unica autorità tutte queste attività quotidiane abolendo quella “personale economia d’azione” che noi identifichiamo con la libertà individuale. Nella vita contemporanea quasi nessuno di noi deve continuamente guardarsi le spalle per verificare se sia oggetto di critiche o di osservazioni, scrive Goffman. O almeno ci sono ambiti in cui questo controllo ha termine. La conseguenza è che esiste una distanza tra il proprio ruolo e il pubblico di fronte al quale lo si recita, evitando in tal modo che affermazioni o dichiarazioni su se stessi in una particolare sfera di attività, per esempio nella seduzione oppure nel gioco sportivo o d’azzardo, vengano confrontate con il comportamento in altre situazioni, quali ad esempio il lavoro. La rivoluzione compiuta dalla sociologia di Goffman, sia nell’indagine del comportamento in pubblico sia in quella in un mondo separato come l’ospedale psichiatrico, è quella di attribuire un’importanza decisiva ai rituali, alle “rappresentazioni” che forniamo agli altri o che gli altri ci offrono piuttosto che alle motivazioni recondite o alle cause. Asylums, tradotto da Franca Basaglia nel 1968, mette in evidenza come proprio nelle istituzioni che scarnificano fino all’osso l’esistenza umana noi possiamo vedere con più chiarezza quello che le persone fanno per sopravvivere, le tecniche che usano “per preservare le riserve del sé dalla morsa dell’istituzione”. La libertà non è qualcosa di astratto, ma di concreto. E’ solo “lottando contro qualcosa che il sé può emergere” ma, ugualmente, senza qualcosa cui appartenere non esiste sicurezza per il sé, sottolinea Goffman. Tuttavia “l’inglobamento totale e il coinvolgimento con una qualsiasi unità sociale implica una riduzione di sé”. E’ un difficile equilibrio in cui non servono grandi strategie ma piccole tecniche con cui resistere alla pressione.

La legge 180 o legge Basaglia con la chiusura dei manicomi apre in Italia una nuova stagione della psichiatria. Nel tempo ha saputo concretizzarsi e trasformare la mentalità degli uomini, incominciare una diagnosi e una cura per chi soffre di una patologia mentale. I manicomi, o nosocomi psichiatrici, erano strutture nelle quali questi pazienti, ma anche chi doveva essere emarginato dalla società perché scomodo, fastidioso, “nonnormale” venivano segregati ed abbandonati al proprio destino. Un tentativo di cura era effettuato tramite l’elettroshock ed erano utilizzate le camice di forza nei casi più estremi.

Il 13 maggio 1978 fu approvata la legge 180 che verrà poi inclusa il 23 dicembre dello stesso anno nella legge di riforma che introdurrà il Sistema Sanitario Nazionale, la legge n.833. Questi i principali elementi della normativa:

1) Il divieto di costruire nuovi ospedali psichiatrici e di far entrare nuovi pazienti in quelli esistenti, che dovranno essere “gradualmente superati e utilizzati diversamente” (art. 64).

2) Il principio che “gli interventi di prevenzione, cura e riabilitazione relativi alle malattie mentali devono essere attuati di norma dai servizi psichiatrici territoriali” (art. 34).

3) L’istituzione del TSO, “trattamento sanitario obbligatorio per malattia mentale” (art. 34) che, come nel caso del trattamento obbligatorio per altre patologie (art. 33), deve essere attuato “nel rispetto della dignità della persona, dei suoi diritti civili e politici, compreso, per quanto possibile, il diritto alla libera scelta del medico e del luogo di cura” e “deve essere accompagnato da iniziative volte ad assicurare il consenso e la partecipazione da parte di chi vi è obbligato”.

4) L’iter per il TSO (art. 33, 34 e 35): il TSO viene proposto da un medico e deve essere convalidato da un secondo medico dell’unità sanitaria locale. Entro 48 ore dalla convalida viene disposto dal sindaco e notificato al giudice tutelare. Il TSO può essere effettuato in condizioni di degenza e in questo caso in appositi reparti ospedalieri (Servizi Psichiatrici di Diagnosi e Cura). La legge non fissa un limite alla durata del TSO, ma nel caso in cui questo “debba protrarsi oltre il settimo giorno e nei casi di ulteriore prolungamento” (art. 35), poiché il paziente continua a star male e continua a rifiutare di curarsi volontariamente, lo psichiatra deve motivare questo fatto al sindaco che ne deve informare il giudice tutelare.

Le istituzioni totali: I meccanismi dell’esclusione e della violenza. La legge Basaglia e la chiusura delle istituzioni manicomiali.

Erving Goffman e Asylums

 

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