Pandemia mortale Simone Coren 09/06/2022

Pandemia mortale

Stavolta non siamo al cinema a guardare un film horror con i popcorn a portata di bocca e neppure a casa, distesi sul divano, a gustarci una serie televisiva apocalittica. Stavolta non siamo il pubblico che ama spaventarsi di fronte agli zombie, che vuole emozionarsi di fronte ad avventure straordinarie e pericolose. Stavolta non possiamo avere la libertà di cambiare canale. Stavolta quello che vediamo e viviamo è la nostra vita, (però) scombussolata dalla morte. Siamo gli attori di una brutta storia. Siamo i protagonisti di questa nuova pagina della storia umana (che lo si voglia o meno). La paura che si prova di fronte a questi eventi è totalmente diversa da quella che sperimentiamo di fronte alla televisione.Adesso si vive con un più reale timore di ammalarsi, si cova un certo nervosismo per non sapere che cosa potrebbe accaderci domani, si sta male perché impossibilitati ad uscire dalle proprie mura domestiche (tranne quelli, beati loro, che hanno un giardino attorno a casa). Adesso c’è silenzio per le strade, i negozi sono chiusi, le poche persone che si trovano sono camuffate da mascherine e guanti protettivi (chi ce li ha). C’è tensione che traspare dagli sguardi, c’è preoccupazione quando ci si avvicina una persona.

L’umanità sta combattendo una guerra globale che è presente da quando i nostri antenati mossero i primi passi. È una guerra che non ha confini, che non riconosce tregue e che non ha una scadenza. Infatti, le scelte dell’umanità ci stanno mettendo in una posizione tale da farci andare incontro ad altre epidemie, in parte per il cambiamento climatico, perché il riscaldamento globale rende il mondo più ospitale per virus e batteri, in parte perché ci stiamo appropriando degli ultimi spazi naturali del pianeta favorendo il contatto con popolazioni animali selvatiche con cui non abbiamo mai avuto rapporti in precedenza. E queste popolazioni hanno nuovi tipi di malattie: batteri, virus, cose a cui non siamo preparati. Si pensi solo ai pipistrelli che hanno un “talento” innato nell’ospitare malattie infettive per gli umani. Sfortunatamente non sono gli unici.

Chi è il nemico? È qualcosa di invisibile, immortale, che si adatta continuamente, mettendo alla prova le nostre difese immunitarie. È scaltro perché ci colpisce quando meno ce lo aspettiamo, ci uccide e ci ferisce indiscriminatamente, attaccando ogni persona di qualsiasi nazionalità, etnia o religione. Cosa ci dice la storia di questo nemico? Che l’umanità ha dovuto affrontare diverse volte il lato buio della natura e che in tutte queste volte è stata sempre impreparata. Nell’antica Grecia, tra il 430 e il 426 a.C. Tucidide nel secondo libro delle sue Storie racconta con precisione e realismo la pandemia scoppiata durante la guerra del Peloponneso tra Ateniesi e Spartani, sottolineando la bontà d’animo e il sacrificio del personale medico, che un tempo, come oggi, metteva a repentaglio la propria vita per curare i propri pazienti, nonostante non capisse quale malattia stesse fronteggiando:

In nessun luogo si aveva memoria di una pestilenza così grave e di una tale moria di persone. Infatti, non erano in grado di fronteggiarlo né i medici, che all’inizio prestavano le loro cure senza conoscerne la natura, e anzi erano i primi a morire in quanto più degli altri si accostavano agli infermi, né nessun’altra arte di origine umana; ugualmente le suppliche nei santuari, il ricorso a oracoli e altre cose del genere, tutto si rivelò inutile; e alla fine, sopraffatti dalla sventura, rinunciarono a qualsiasi tentativo (47, 3-4).

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Bergamo, 2020.

Diversi camion militari trasportano le salme di molti cittadini fuori regione per essere cremati. I cimiteri sono pieni.

Poi lo studioso prosegue, raccontando l’ingombro dei corpi infetti, il soffocante affollamento dei tuguri, i mucchi di moribondi accanto ai cadaveri, il disgusto delle fosse comuni, la dissoluzione dell’ordine e dell’autorità. Diverse fonti attestano che da questa pandemia morirono tra le 70 e le 100 mila persone.

Nel terzo secolo d.C., la peste antonina spazzò via un terzo della popolazione europea. Si dice che provenisse dall’Oriente e che fosse stata portata entro i confini dell’Impero Romano intorno al 160 d.C. dai reduci di una campagna militare guidata dal co-imperatore Lucio Vero (l’altro era Marco Aurelio) contro i Parti (che vivevano nell’attuale Iran). Orosio, biografo di Lucio Vero, così parla della propagazione della pandemia negli Scriptores historiae Augustae:

…gli sembrò che il suo fato portasse una pestilenza in qualunque provincia egli attraversasse durante il suo ritorno e persino a Roma. Si crede che questa pestilenza originasse a Babilonia, dove un vapore pestilenziale si sviluppò nel tempio di Apollo da una cassetta d’oro che un soldato aveva accidentalmente aperto, e si diffuse poi sulla Patria e sull’intero mondo” [Versus. VIII].

Mentre Ammiano Marcellino, storico del IV secolo d.C., presuppone nelle Res Gestae che nel corso del saccheggio di Seleucia da parte dei soldati di Lucio Vero, la causa della grande pandemia fu aver scoperchiato una teca magica:

Da una teca chiusa dalle arti occulte dei Caldei, il germe della pestilenza si sviluppò e dopo avere generato la virulenza di una malattia incurabile, nel tempo chiamato di Vero e di Marco Aurelio contaminò ogni cosa con contagio e morte, dalla frontiera della Persia percorrendo tutta la strada fino al Reno e alla Gallia [XIX,4].

Diversa e più grave è la pandemia scoppiata nel 542 d.C. Sia Giovanni da Efeso, vescovo e storico bizantino, sia Procopio di Cesarea, altro storico bizantino, concordano sul fatto che la peste iniziò ad espandersi lentamente, partendo dalle città costiere per poi raggiungere l’entroterra. Quasi avesse una strategia ben definita, rimaneva in ogni luogo per un certo periodo, il tempo necessario a provocare la morte di buona parte della popolazione, e solo dopo si muoveva verso la città o i villaggi vicini. Da La Guerra Persiana di Procopio si evidenzia la forza con cui questa pandemia sconvolse la popolazione bizantina e non solo. Infatti, caddero tra i 50 e i 100 milioni di persone:

Non ha lasciato né un’isola né la cresta di una montagna né una caverna che abbia avuto abitanti umani (2-XXII).

Intorno al 1340, la peste tornò a cambiare l’aspetto dell’Europa, alterando per sempre il corso della storia mondiale. All’epoca, la popolazione mondiale doveva essere di circa 450 milioni di individui. La morte nera ne portò al decesso almeno 75 milioni. Alcune stime si spingono anche ai 100 milioni. Nell’arco di 8 anni morì tra il venti e il cinquanta percento dell’intera popolazione. Alcuni dei principali motivi per cui i danni furono così gravi sono la densità della popolazione e la possibilità di viaggi e spostamenti.

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Nel Decameron, all’interno della cornice narrativa, Boccaccio sottolinea che proprio questo evento drammatico rappresenti una valida motivazione a scrivere la sua opera. In circa quaranta paragrafi (sui 96 che compongono l’Introduzione), l’autore delinea il cupo e tragico panorama della città di Firenze. Dopo aver ipotizzato le cause dell’epidemia, Boccaccio inizia a descrivere in maniera analitica e dettagliata i primi segni della pestilenza, evidenzia che nessun medico sembri esser in grado di curare la malattia, da una parte, per la novità dei sintomi, e, dall’altra, per l’ignoranza di molti uomini che si spacciavano per dottori e per scienziati. Inoltre, racconta con crudo realismo quanto la compassione e la pietà verso gli appestati vengano dimenticate. I malati sono abbandonati in casa dai loro stessi parenti, i poveri muoiono in strada senza alcun aiuto, molti abitanti di Firenze fuggono nelle campagne per evitare il contagio, i servi si approfittano dei padroni ammalati per derubarli e si assiste pure a funerali solitari e a sepolture in fosse comuni.

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Nel 1520, secondo alcuni studi l’epidemia portata dai conquistadores fu la salmonella, che devastò la popolazione indigena del Messico. Da 25 milioni di persone si arrivò a 1 milione. Ma sicuramente la pandemia del 1918-20 è ancor più grave, chiamata “spagnola”, non perché nacque in Spagna, ma perché furono i giornali spagnoli a parlarne per primi (negli altri Stati c’era la censura di guerra. Siamo infatti a ridosso della fine della Prima guerra mondiale). Fu certamente favorita dalle condizioni umane e igieniche in cui dovettero combattere i soldati sui vari fronti all’interno delle trincee. Uccise circa 50 milioni di persone, tra cui 675.000 negli Stati Uniti. Nel 1957 tornò la paura del contagio con la cosiddetta “influenza Asiatica”, un virus A/H2N2 isolato per la prima volta in Cina. In questo caso, venne messo a punto in tempi record un vaccino che permise di frenare e poi di spegnere del tutto la pandemia, dichiarata conclusa nel 1960. Tuttavia, in tre anni morirono più di un milione di persone.

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Nel 1969 arrivò una seconda ondata pandemica, la chiamarono “Spaziale” forse a ricordare l’avvento statunitense sulla Luna di Apollo 11, forse ad evidenziare la tempestività con cui un nuovo virus bussò alle porte (9 anni dopo l’asiatica) imponendo al mondo di fermarsi di nuovo. Si abbatté sull’Italia un anno e mezzo dopo essere partita da Hong Kong, ma fu la meno letale delle pandemie del XX secolo. Sebbene l’epidemia di Hong Kong fosse associata relativamente a pochi decessi in tutto il mondo, il virus fu altamente contagioso. Infatti, la sua rapida diffusione globale portò meno di due settimane circa 500.000 casi di malattia nel Sud Est asiatico. I sintomi dell’infezione erano quelli respiratori tipici dell’influenza: brividi, febbre, dolore muscolare e debolezza.

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Questi sintomi di solito persistevano da quattro a sei giorni. I livelli più alti di mortalità erano associati ai gruppi più sensibili, vale a dire neonati e anziani. Sebbene sia stato sviluppato un vaccino contro il virus, esso fu disponibile solo dopo che la pandemia aveva oramai raggiunto il picco in molti Paesi. Nel nuovo millennio il primo allarme mondiale è scattato nel 2003 per la Sars, acronimo di “Sindrome acuta respiratoria grave”, una forma atipica di polmonite apparsa per la prima volta nel novembre 2002 nella provincia del Guangdong in Cina. Portò “solo” a 8240 casi confermati e 745 morti come si vede dalla figura.

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Il secondo allarme del nuovo millennio è rappresentato dall’influenza “suina”. Una variante del virus H1N1. Nasce in Messico e si diffonde a macchia d’olio nelle Americhe e poi nel mondo. Il virus sembra colpire prevalentemente le persone adulte sane e molto meno, al contrario dell’influenza classica, anziani e bambini. Questo perché si sostiene che gli anziani e i bambini siano in parte vaccinati contro l’influenza stagionale, fornendo loro una protezione immunitaria così efficace da diminuire la probabilità di contrarre la malattia. Pertanto, si decide di somministrare un vaccino per l’influenza stagionale e un vaccino prontamente creato in un paio di mesi per l’A/H1N1. Insieme rappresentano la barriera più efficiente per debellare il virus. A livello mondiale si stima che la pandemia abbia causato tra i 100.000 e i 400.000 morti nel solo primo anno.

Oggi. Il terzo allarme: si diffonde il COVID – 19. Nasce in Cina, ha come focolaio Wuhan, dove si riscontrano una serie di casi di simil polmonite, la cui causa è però sconosciuta: il virus non corrisponde a nessun altro noto. Si comincia a indagare sull’origine della malattia.

Alanna-ShaikhDalle parole di Alanna Shaikh, che ha una esperienza ventennale nel campo della salute mondiale, si apprende che il COVID-19 è un coronavirus, e i coronavirus sono una sottocategoria specifica di virus con alcune caratteristiche uniche. Usano il RNA, e non il DNA, come materiale genetico, e hanno la superficie ricoperta di punte che usano per invadere le cellule. Quelle punte sono la “corona” del coronavirus.

COVID-19 è conosciuto come un nuovo coronavirus perché fino a dicembre ne si conoscevano solo sei. COVID-19 è il settimo. È qualcosa di nuovo, è appena stato sequenziato, gli è appena stato dato un nome, per questo è nuovo.

Se vi ricordate la SARS, la “sindrome respiratoria acuta grave”, o la MERS, la “sindrome respiratoria mediorientale”, quelli erano dei coronavirus. Ed entrambe sono chiamate sindromi respiratorie perché è ciò che fanno i coronavirus. Attaccano i polmoni. Non vi fanno vomitare, non vi fanno sanguinare gli occhi, non vi provocano emorragie; però attaccano i polmoni. COVID-19 non è diverso. Provoca una serie di sintomi respiratori che vanno dalla tosse secca con febbre a una serie di altri sintomi, fino alla polmonite virale letale. Tale varietà di sintomi è uno dei motivi per cui è stato così difficile risalire all’insorgere dell’epidemia. Molte persone contraggono COVID-19, ma in maniera così lieve, con sintomi così leggeri che neanche vanno dal medico. Non lasciano tracce nel sistema. I coronavirus sono zoonotici, il che significa che si trasmettono dagli animali alle persone (Probabilmente COVID-19 è passato dagli animali alle persone in un mercato di animali selvatici a Wuhan, in Cina). Alcuni coronavirus, come COVID-19, si trasmettono anche da persona a persona. Quelli da persona a persona viaggiano più veloci e più lontano, proprio come COVID-19. Il presente ci dice che troppo tempo è passato prima di agire in maniera adeguata. La reattività doveva esser cruciale, ma non siamo stati pronti. Se fossimo stati perfettamente preparati per COVID-19, la Cina avrebbe identificato l’epidemia molto più in fretta. Sarebbero stati preparati vaccini per curare le persone infette senza avere bisogno di costruire nuovi ospedali. Avrebbero condiviso con i cittadini informazioni veritiere, e sui social cinesi non avremmo letto indiscrezioni folli.

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Avrebbero comunicato le informazioni alle autorità sanitarie mondiali, perché le condividessero coi vari sistemi sanitari nazionali che si sarebbero preparati alla diffusione del virus. I sistemi sanitari nazionali sarebbero quindi riusciti a procurarsi in tempo i necessari dispositivi protettivi e a preparare il personale alla cura e al controllo dell’infezione. Avremmo elaborato protocolli scientifici su come agire in casi di emergenza, come le navi da crociera con passeggeri infetti a bordo. E avremmo informazioni reali, da condividere con tutti ovunque, prevenendo episodi di xenofobia imbarazzanti e deplorevoli, come le aggressioni negli Stati Uniti e in Italia su cittadini di origine cinese.

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Ma anche con tutti questi accorgimenti ci sarebbero casi di contagio. COVID-19 fa paura, in un momento in cui molte delle notizie che sentiamo fanno paura. E ci sono un sacco di terribili tentazioni su come gestire la cosa: il panico (code per fare la spesa e svuotare gli scaffali); la xenofobia; l’agorafobia; l’autoritarismo; le bugie semplicistiche che ci fanno credere che l’odio, la rabbia e la solitudine siano la soluzione al contagio.

Ma in realtà non lo sono: ci rendono solo meno preparati. Ci sono anche opzioni noiose, ma utili, da usare in risposta al contagio. Ad esempio, migliorare i sistemi sanitari; investire in infrastrutture sanitarie e nell’osservazione delle malattie per sapere quando ci saranno nuove malattie in arrivo; migliorare il livello di istruzione, per poter parlare di insorgenze, di analisi dei rischi senza sprofondare nel panico; investire su una didattica a distanza efficace, diffondere una cultura nazionale improntata alla responsabilità, al dovere morale e sociale.

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