Gabriel Calderòn, classe 1982, a soli 36 anni è già un personaggio di grande spessore nel mondo del teatro. La sua carriera di drammaturgo è iniziata prestissimo, a 19 anni ha scritto la sua prima opera, che ha ottenuto un grande successo di pubblico e di critica nel suo paese, in Uruguay.
A Montevideo, ha frequentato la scuola nazionale di teatro (EMAD). La sua formazione è proseguita poi in Europa, prima a Madrid nel 2004 dove grazie a una borsa ha realizzato il “Curso de profesionales en dramaturgia y dirección de teatro” e poi a Londra dove ha fatto parte del programma internazionale del Royal Theatre nel 2009. Per dieci anni è stato membro del collettivo teatrale COMPLOT con il quale ha messo in scena più di 25 spettacoli. Ha scritto circa 16 opere teatrali e ha vinto svariati premi, tra i quali il Premio Florencio, Premio Iris e Premio Morosoli. Ha recitato come attore per il collega e amico Uruguayano Sergio Blanco. In parallelo alla carriera di attore e drammaturgo, si dedica all’insegnamento. I suoi testi sono stati tradotti in inglese, francese, tedesco, portoghese e catalano e nel 2019 saranno tradotti per la prima volta all’italiano.
Nonostante questa breve ma intensa carriera, Gabriel Calderón è una persona semplice e alla mano, anche se la sua brillantezza trapela anche dalle frasi più semplici. Ho avuto il piacere di conoscerlo lavorando come sua assistente durante il mese di novembre, nel corso organizzato da ERT (Emilia Romagna Teatro) Modena Perfezionamento: Dramaturg internazionale. Tra una tapas e l’altra durante un pranzo informale in un ristorante spagnolo a poche centinaia di metri dalla Scuola di Teatro Iolanda Gozzaro dove si sono tenute le sue lezioni, si è lasciato intervistare. Gabriel ha visitato per la prima volta l’Italia quest’anno, grazie all’invito di ERT che a breve pubblicherà anche una raccolta di opere del giovane drammaturgo tradotte all’italiano. Modena è stata la prima città italiana che ha visitato e ne è rimasto entusiasta.
È la tua prima volta in Italia?
“Sì, è la prima volta in Italia, a Modena. Non ho mai fatto niente qua, non ho traduzioni in italiano. ERT tradurrà tre mie opere all’italiano, saranno i primi, ma ancora non so esattamente quali.”
Ti piace Modena?
“Sì, sì… è piccolina, mi piace la parte storica, ha il suo fascino. Però certamente Venezia, oppure Torino e Bologna, dove sono stato, sono città con più cose da visitare. Però Modena ha un qualcosa di molto bello, che è il fatto di essere a portata d’uomo. Già la conosco abbastanza.” Ha 36 anni e due figli che lo aspettano a Montevideo, in Uruguay, luogo dove è nato e cresciuto e dove la sua passione per il teatro si è sviluppata e ha visto sbocciare l’artista. E l’artista è sbocciato presto, a soli 19 anni Gabriel scrive Mi Muñequita (La Farsa), che verrà messa in scena due anni dopo con un grande successo di pubblico e di critica.
Mi ha impressionato molto la tua carriera, mi sono letta “Mi Muñequita” e l’ho trovato geniale. In modo scherzoso affronti temi pesanti, un gioco sporco tra adulti, fatto di omicidi, segreti e bugie che coinvolgono una bambina che cerca di sfuggire a tutto questo rimanendo attaccata in modo morboso alla sua bambola.
A 19 anni avevi già in testa questi temi o l’opera è stata un’illuminazione improvvisa?
“Non lo so, a quell’età ancora andavo a scuola, al conservatorio. Mi ricordo che quell’anno è stato molto importante per me perché ho imparato tante cose. Facevo teatro da quando avevo 12 anni, amatoriale a scuola, però verso i 16/17 anni sono entrato in una scuola semiprofessionale. Ce l’avevo in testa. La stesura di Mi Muñequita viene molto da cose concrete del teatro, dall’idea di giocare con due attrici, la storia tenebrosa… mi piaceva quest’opera perché era molto tenebrosa e ho cercato una maniera di raccontarla in modo umoristico. Però non so, probabilmente non ero totalmente cosciente. Nei miei primi anni non sapevo scrivere. Solo dopo quest’opera ho imparato a scrivere e a sapere cosa stessi scrivendo. E grazie a Mi Muñequita a 19 anni abbiamo ottenuto all’improvviso un gran successo. Per 5 anni abbiamo avuto il tutto esaurito nelle sale, siamo stati nominati per il premio Florencio e avevamo solo 21 anni. Quindi quest’opera ci ha obbligati a chiederci cosa stessimo facendo, alla gente piacque tanto mentre noi stavamo quasi svolgendo un esercizio di scuola.”
In una tua intervista che ho letto su internet, dici che in Uruguay è difficile vivere di teatro e che in Europa si guadagna molto di più. Ecco, potresti spiegare meglio questo?
“In Uruguay nessuno paga per il teatro, anche l’entrata agli spettacoli è molto economica. Per esempio, se metti in scena un’opera al teatro pubblico, non ti pagano. Se faccio un’opera con degli attori e ci vogliono dieci mesi di lavoro, io non gli pago e non pagano nemmeno me. La gente lo fa per passione. Però questo fa sì che tu a 19 anni possa mettere in scena un’opera, mentre in Europa non potete, dovete passare mille tappe. In Uruguay questo no. C’è un lato negativo, che non ci sono soldi, e uno positivo: ho 36 anni e ho messo in scena in Uruguay più di 15 spettacoli. Però ecco, ci costa questo. In Uruguay ci sono grandi attori, attrici e drammaturghi che devono lavorare tutti i giorni in uno studio contabile perché non possono dedicarsi interamente al teatro. E io penso, se sono bravi dedicandosi due ore al giorno al teatro, immagina come sarebbero se potessero dedicarcisi 8 ore! Il mondo non è centrato là, è qua, negli Stati Uniti. Il sistema funziona qua, noi saremo sempre la periferia. È molto bello, ma ci sono talenti che non saranno mai usati.”
Una situazione che Gabriel conosce da vicino, infatti ha lavorato e lavora molto in Europa, mentre la sua compagna, l’attrice Dahiana Méndez, lavora in una banca anche se non ha mai smesso di dedicarsi al teatro e questo settembre ha recitato nell’ultima opera del compagno. Oggi Calderón, dopo aver scritto più di 20 opere e aver ricevuto vari premi, ricorda ancora bene i suoi primi successi: Más Vale Solo con la quale vinse il primo premio del Teatro Jóven nel 2001, Taurus-el juego, Llagdán (2003), Las buenas muertes (2004), EL callejón de los Ateos (2005) y Uz-El Pueblo (2006). Quest’ultima è la prima di un ciclo composto da 5 opere fantastiche, nelle quali il drammaturgo gioca con temi di attualità inserendo elementi fantastici che portano a situazioni grottesche.
Mi parli di un’altra opera per te importante, dopo “Mi Muñequita”?
“Uz – el pueblo. Quest’opera è parte di un ciclo che ancora non ho terminato, un ciclo di opere dove lavoro sul tema della fantasia e alcuni dei problemi di Uruguay. Borges diceva che il fantastico si ha quando in un modello poetico dato che ha le sue regole, approda qualcosa di esterno. La mia idea era proprio questa, inventare un modello poetico dato, per esempio Uruguay, nel quale qualcosa di esterno come la macchina del tempo, gli alieni e Dio, appaiano per sconvolgerlo.”
Ritieni Borges uno dei tuoi maestri?
“Allora, non è stato un maestro di formazione, è una lettura molto più recente. Lui mi dà molto nella lettura, non nella scrittura, mi dà molti spunti su cui riflettere. Ci sono altri autori che mi guidano nella scrittura: Cechov, Koltès, Thomas Bernhard, Pasolini… Le opere del ciclo fantastico finora scritte abbracciano temi di ordine religioso, storico, sociale e politico.”
Qual è la tua visione riguardo a questi temi?
“Domanda interessante. Queste opere che parlano del fantastico hanno un fattore comune nel tema di attualità scelto. Questo è il fatto che siano temi vincolati a quella che io chiamo “una scena di vergogna personale”. Cioè, a un certo punto della mia vita identifico una scena che mi fa vergognare molto e che è relazionata con dato tema e questa vergogna è personale, non collettiva. Non lo faccio per volontà di esorcizzare la vergogna, di fare una catarsi, lo faccio per comprendere. Mi aiuta a capire. Per esempio, Uz è la revisione che avevo fatto della mia adolescenza in una scuola cattolica. Non ho mai creduto in Dio, però andavo nei quartieri poveri. Non credevo in Dio ma in quello che facevamo. E un giorno mentre eravamo là aiutando, mi sono reso conto che quello che stavamo facendo era umano, non cristiano. Guardando al passato mi sono reso conto di tutto quello che avevo fatto senza credere e allora mi sono chiesto cosa potrebbe essere capace di fare la gente che crede. Così ho scritto un’opera proprio su questo, su tutto ciò che potrebbe fare la gente se credesse. Però non riesce a farlo. Nell’opera appare Dio e ordina a una donna di scegliere uno dei suoi figli per ucciderlo. L’opera è divertente perché lei prova a ucciderlo ma non ci riesce, non gli viene, non può, è una pessima assassina. Anche l’opera seguente si relaziona con un momento che mi dà una specie di pudore. Il tema dei desaparecidos è molto vincolato con una legge d’impunità che ha adottato Uruguay per uscire dalla dittatura. Questa dà l’impunità ai militari, ai politici. È la stessa in tutti i paesi che hanno avuto una dittatura, in Sud America e in Spagna, è la stessa. Alcuni la chiamano ley de aministía. Questa legge in Uruguay ha prodotto un effetto collaterale, cioè che tutti i familiari che avevano figli o nipoti desaparecidos non avevano un modo legale o formale di investigare la loro scomparsa. Dovevano consolarsi con il fatto che erano spariti e ciao.”
La dittatura è un tema a te caro?
“Quando iniziai a scrivere mi dissi che il tema della dittatura non era il mio. Poi, nel 2009 c’è stata una votazione per far passare un progetto di legge che permettesse ai familiari dei desaparecidos di indagare su quello che era successo ai loro cari. La legge non passò. Fu disastroso, mi sentivo colpevole per tutte le volte che avevo detto che era un tema risolto e questa scena di vergogna la risolsi scrivendo Or – tal vez la vida sea ridicula.”
Di cosa parla Or?
“Parla di una famiglia che ha una figlia desaparecida negli anni della dittatura, ma non è stata sequestrata dai militare, è stata rapita dagli alieni. Nell’opera seguente poi, in Ex – que revienten los actores affronto il tema della memoria, dell’impossibilità che abbiamo tutti di ricostruire la memoria collettiva da soli. Dobbiamo farlo collettivamente. Cerco di risolvere questo con una macchina del tempo. Era il 2013 e non avevo mai chiesto a mio padre che cosa avesse fatto durante la dittatura. Qualche anno fa eravamo io, la mia compagna, sua madre e mio padre. Loro due iniziarono a parlare della dittatura e io non ricordo cosa dissero, ricordo solo la sensazione tipo “oh, questo non l’hanno mai raccontato”, però non mi ricordo cosa.”
C’è un’altra opera dopo ‘Ex’ que si chiama ‘If- festejan?
“If è l’ultima, l’abbiamo messa in scena per la prima volta ora a settembre. Parla dei soldi e del teatro, dell’arte, ed è caratterizzata dai vampiri, da gente che si succhia il sangue a vicenda.”
È sul fatto che non si vive di sola arte?
“È su una compagnia di teatro, è un’opera che difende una città orribile dove con i soldi si fanno cose meravigliose. È un’opera lavorata su un racconto popolare di Juan Carlos Onetti, Un sueño realizado, che parla di una donna molto ricca che assume una compagnia teatrale molto economica perché le metta in scena un sogno ricorrente che fa.”
È una delle opere che tradurranno all’Italiano?
“No, penso che tradurranno Ex, Olor e una opera che ho fatto su Riccardo III, Algo de Ricardo.”
Non preferiresti che traducessero tutto il ciclo?
“Sí, ma c’è il fatto delle dimensioni del libro… sono opere lunghe, è una questione funzionale.”
Hai già in mente un finale per chiudere il ciclo fantastico?
“Sì… Questi monosillabi che aprono i titoli, che significato hanno? Sono le 5 vocali e ognuna ha un significato: Uz è il villaggio di Giobbe, dove appare Dio e lo mette alla prova, Or è l’”altro”, Ex è il passato in latino, If è il potenziale di qualcosa di diverso. Tutti aprono una possibilità. Sono un po’ la chiave di lettura dell’opera. Sì, ma da soli non significano niente. Ora sto pensando all’ultima di tipo fantastico. Ho già scritto di extraterrestri, macchine del tempo, vampiri, Dio… e ora non saprei.” Ci ho messo quattro anni a scrivere l’ultima, If. Ci ha messo quattro anni ma in questi ultimi quattro anni si è dato un gran da fare e non solo nel campo della drammaturgia. La sua carriera di attore, drammaturgo e regista va infatti a braccetto con quella di professore.
In futuro non pensi di avvicinarti a una carriera accademica?
“Non lo so, non si sa mai dove si finisce, l’unica cosa che so è che mi piace l’insegnamento, ma non abbastanza da lasciare il teatro per dedicarmici completamente. Però in Uruguay ho creato insieme ad altri un corso di drammaturgia. Ho un corso universitario con crediti e non sono laureato. Dopo aver passato tre anni a Parigi ti rendi conto che quello che differenzia la qualità autorale per esempio di Argentina e Uruguay è che la prima ha una tradizione autorale molto più grande, ha due grandi scuole dalle quali escono tutti gli anni drammaturghi. Qualcuno sarà dimenticato presto, ma altri sono molto in gamba. Quindi, io con un gruppo e Mariana Percovich, che in quel momento era direttrice della EMAD, della scuola nazionale di teatro, riflettemmo sull’importanza di creare una materia formale, che desse un titolo equivalente alla laurea. Oltre che in Svizzera, in Spagna e ora anche in Italia, Calderón ha lavorato come professore anche in Francia. In Francia ha lavorato dal 2012 al 2014 a un grande progetto che gli ha in parte aperto le porte al successo europeo.”
So che hai lavorato per un periodo in Francia, cosa hai fatto lì?
“Mi invitò Adel Hakim, co-direttore del centro d’arte drammatica nazionale a Parigi. Lui era venuto a lavorare in Uruguay nel 2004 e rimase impressionato dal mio lavoro. Nel 2012 per la prima volta riuscimmo a decidere una data per incontrarci in Francia. Lui ha tradotto al francese 5 mie opere e ha messo in scena una produzione francese di Uz e Or. Era un progetto ampio, una rivista ha dedicato un numero completo al mio teatro e ho presentato Ex, che avevo scritto l’anno prima, all’interno di un ciclo chiamato Radical Calderón. Là ho anche tenuto un discorso alla Sorbona e ho fatto un ciclo di lezioni alla Casa di America Latina. Ci sono rimasto fino al 2015, quando sono andato in Svizzera a dare lezioni in modo stabile.”
Dai Gabriel, siamo arrivati alla fine, e ora che stai facendo? Fai ancora parte del collettivo di teatro COMPLOT?
“Ne sono stato parte per dieci anni, era un collettivo di autori e una compagnia di attori, eravamo 5 direttori. 2/3 anni fa decidemmo di separarci per portare a compimento un ciclo, ci siamo detti. Io sono ancora in contatto con Sergio Blanco, anche lui verrà a Modena. Ora è a Madrid e ha vinto un premio molto importante a Londra. Ha scritto El ira de Narciso per me, lui l’ha diretta, io ho recitato. Abbiamo viaggiato molto noi due, prima che nascesse mio figlio. Quando è nato ho lasciato il teatro per un po’ di mesi, il mio interesse era concentrato su mio figlio, non sul teatro.”
Quanti anni hanno i tuoi figli?
“Tre e mezzo Manolo e uno Amedeo.” Mi mostra le foto dei suoi figli e della sua compagna in costume da vampiro, mentre recita con la faccia piena di sangue finto…
Recita ancora la tua compagna, è una bomba. Il lavoro, il teatro, i figli…
“Lavora sei ore al giorno in banca e quest’anno abbiamo messo in scena If. Ognuno sceglie i suoi problemi, con il lavoro in banca si ha una vita economicamente più stabile, anche per i bambini.”
Come ha detto Calderón, con la passione si fa tutto, anche teatro, in Uruguay.
Le opere dell’autore si possono trovare online in open access su: http://dramaturgiauruguaya.uy/gabriel-calderon/