La disabilità che non limita nel diritto all’inclusione Chiara Andreotti 02/02/2024

La disabilità che non limita nel diritto all’inclusione

Disabilità o diversa abilità?

Il titolo è volutamente provocatorio per far riflettere su una tematica che la società di oggi dovrebbe affrontare ovvero la difficoltà, o meglio, la paura di approcciarsi alla persona con disabilità. Sulla base di quanto stabilito dalla Dichiarazione dei diritti del disabile, è giusto riferirsi al “Disabile” con il termine persona proprio per sottolineare la necessità di tutelare quelli che sono i suoi diritti in quanto facente parte del genere umano.

Vi siete mai posti il problema del perché si è arrivati a dover promulgare una Dichiarazione apposita per assicurare diritti che, in realtà, sono già sanciti in tutte le Carte Costituzionali dei paesi democratici?

Da Persona disabile posso confermare che, alla base di questa problematica, ci sono numerosi pregiudizi che associano alla persona con disabilità atteggiamenti controversi da parte di chi non riesce a rapportarvisi normalmente manifestando altresì eccessivo pietismo e paternalismo, ovvero raffigurando la persona con disabilità come un eterno bambino privo di autodeterminazione. La letteratura sta affrontando questo aspetto in maniera esemplare con diversi autori, tra i quali giuristi e pedagogisti in prima linea nella lotta alla realizzazione di una vera inclusione in contrapposizione all’handifobia, ovvero la paura con la quale si tende a escludere le persone che non rispettano i canoni stabiliti per la normalità.

La paura da cosa deriva? È difficile dare una risposta certa in quanto le forme di disabilità sono molteplici e si tende a fare troppa generalizzazione.
Credo che tutto ciò sia dovuto ad una mancanza di cultura, di educazione, di buon senso, in primis di rispetto che dovrebbe essere insito all’interno di ognuno di noi. Come ben sapete, per essere accettati nella società, occorre spesso omologarsi a dei canoni stabiliti a priori, come se l’omologazione fosse la soluzione fondamentale a tutte le problematiche sociali.

Ma che sia giusto veramente? Siamo effettivamente destinati ad essere semplicemente delle brutte copie di “un qualcuno” per avere un futuro assicurato? Vorrei proprio sperare di no, perché le diversità tra le persone è ciò che più amo ed è ciò che spinge la maggior parte dei professionisti del sociale a creare progetti di integrazione e conoscenza “dell’Altro”, raffigurandolo come un qualcosa da scoprire e con cui crescere.

Mi rendo conto che per molti sono parole al vento, ma perché non si potrebbe pensare anche di togliere il termine

“Diversamente abile”, etichetta di una contraddizione stereotipata, per lasciare spazio ad una cultura delle diversità che spinga l’uomo alla conoscenza reciproca?

E’ troppo difficile, forse, e il progetto è al quanto aleatorio ma vi posso assicurare che molte delle barriere di cui spesso si parla, a proposito della persona “Fragile”, non sono solo barriere architettoniche, vorrei dire quasi  mentali ed ancorate ad una cultura altamente pregiudizievole e limitativa nei confronti della persona con disabilità, specie in ambito lavorativo.

Disabilità e lavoro è un connubio che mi sta particolarmente a cuore in quanto non sempre ho avuto esperienze positive, in termini di pari opportunità. Per questo motivo ho fatto di questa problematica un obiettivo di studio in modo da rilevare quanto la letteratura sta facendo affinché l’inclusione avvenga realmente.

Ho avuto modo di conoscere anche una ragazza di Milano la quale, laureata in ingegneria informatica, mi racconta di essere stata scartata da una selezione solo pèrché: “A Persone come voi sono destinate selezioni precise!”. Credo che questa frase racchiuda in sé quanto c’è ancora da fare a livello di cultura e formazione affinché, in ambito lavorativo, vengano messe al centro le persone e non le prestazioni.

Sono solo delle testimonianze a chiare lettere di come, nei confronti della persona con disabilità ed inserita nell’ambiente di lavoro, esiste un certo accanimento, quasi una violenza psicologica, che a parità di prestazioni con un normodotato costringe la persona con disabilità ad un percorso sempre in salita per guadagnarsi un minimo di dignità e rispetto al pari degli altri.

Quali potrebbero essere le cause? È un problema di ideali, di cultura o altro? I disability studies ci vengono in aiuto per rispondere in parte a questa domanda, sottolineando come l’ambiente possa essere la prima causa disabilitante per la persona e

la causa principale della mancata inclusione che condanna la persona ad un continuo dualismo disabilità-sofferenza.

Lo stesso psicologo Carlo Lepri afferma a gran voce come l’ambiente possa essere il promotore di una identità distorta della persona. Occorre veramente fare qualcosa perché ognuno possa godere di quel “Ruolo Autentico” che ciascuno di noi necessita per provvedere alla realizzazione personale consapevoli che, come dice Lepri:

“A diventare grandi, si inizia da piccoli!”

Che dire? Credo sia giusto sottolineare che, affinché l’inclusione non sia più il tallone d’Achille di questa nostra società fin troppo tecnologica, scuola, famiglia e politica devono collaborare alla crescita di persone che siano spinte dal desiderio di

conoscere e apprezzare le diversità come punto di forza su cui costruire un nuovo futuro fatto di collaborazione, accettazione e inclusione.

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