Sentiamo spesso dire che “si lavora per vivere”; negli ultimi tempi la frase è cambiata in “lavori per morire”.
Le “morti bianche” non riescono mai a ottenere il trend d’inversione verso il basso e il dato aumenta in modo preoccupante di anno in anno. Secondo quanto riportato dall’Osservatorio di Sicurezza sul Lavoro e Ambiente di Vega Engineering di Mestre nel periodo che va da gennaio a maggio si registra un aumento dei decessi per lavoro del 5,5% in più rispetto allo stesso periodo del 2023. Per l’ente questo dato è significativo perché conferma il peggioramento delle condizioni di sicurezza sul posto di lavoro.
L’indicatore di rischio per i lavoratori italiani è l’incidenza, ovvero il numero di incidenti sul lavoro calcolato rispetto alla popolazione lavorativa in un certo periodo di tempo stimato da gennaio a tutto il mese di maggio. Sono ben 7 le regioni che registrano un tasso d’incidenti superiore al 125% rispetto a quello medio nazionale tra cui Valle D’Aosta, Trentino Alto Adige, Emilia Romagna, Umbria, Campania, Puglia e Sicilia. La Calabria è leggermente più “virtuosa” con un tasso d’incidenti inferiore al 125% e comunque superiore alla media nazionale. Tra le regioni che hanno saputo essere più previdenti c’è anche il Veneto dal momento che il tasso di incidenti sul lavoro è inferiore al 75% dell’indice medio nazionale.
L’indice medio nazionale corrisponde a 12 morti ogni milione di lavoratori.
Il dato più allarmante tuttavia è il tasso di incidenti stimato per fascia di età: infatti l’innalzamento dell’età pensionabile fa registrare un tasso di episodi fatali che vede al primo posto la fascia di lavoratori con età superiore ai 65 anni seguita dalla fascia di età compresa tra i 55 e i 64 anni. Si rivela ancora più drammatico il tasso di morti sul lavoro che vede coinvolti i lavoratori stranieri ancora più esposti ai rischi non avendo tutele di nessun tipo. Il tasso di morti dei lavoratori stranieri è infatti corrispondente a 26 morti su un milione di occupati contro i quasi 11 morti italiani sul milione degli occupati.
Il settore che registra il maggior numero di decessi è di 57 (su un milione) nel settore delle costruzioni, 37 nel settore manifatturiero, 25 nei trasporti e magazzinaggio e 18 del commercio. La causa di queste morti risiede nei pochi investimenti dedicati alla messa in sicurezza degli ambienti di lavoro o a una loro manutenzione approssimativa per risparmiare quanto più possibile a vantaggio dei profitti aziendali e trascurando il livello di esposizione ai rischi dei propri dipendenti.
La sicurezza non è solamente quella materiale ma è anche quella della formazione.
Non tutti i lavoratori, infatti, risultano essere adeguatamente preparati nella prevenzione degli incidenti possibili durante lo svolgimento della loro mansione. Risulta evidente che un lavoratore formato, informato e addestrato alla gestione dei rischi e dei pericoli è meno esposto agli infortuni di chi tale formazione non l’ha ricevuta o l’ha ricevuta in modo superficiale. Ultimo ma non ultimo, ad innalzare il rischio di incidenti sul lavoro è il mancato uso dei Dispositivi di Protezione Individuali DPI.
Esiste un modo per fermare queste morti?
Non esiste una terapia adatta al raggiungimento di questo traguardo. Un buon punto di partenza è costituito da un’attenta analisi delle cause di un infortunio che prevedono il rilevamento di eventuali mancanze nel sistema che svolge sia la prevenzione che la protezione di tali incidenti e individuando le azioni correttive insieme ai fattori che possono determinare le realizzazione di episodi fatali.
L’ascesa di tali infortuni è un paradosso dal momento che l’Italia è uno dei paesi in Europa ad avere un’estesa legislazione in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro. La legge 215/2021, ha riformato il D.Lgs. 81/08 e ha come proposito arginare il fenomeno degli infortuni sul lavoro. La nuova normativa ha modificato anche l’articolo 19 TUSL, il comma a), e stabilisce che il preposto deve “sovrintendere e vigilare sull’osservanza da parte dei singoli lavoratori dei loro obblighi di legge, quindi alle disposizioni aziendali in materia di salute e sicurezza sul lavoro”.
La prevenzione degli infortuni sul lavoro è prima di tutto un fatto di etica, non solo di normativa.
Manca completamente l’educazione alla sicurezza verso gli imprenditori dal momento che molti ancora non hanno compreso che questa non è un costo ma un investimento che serve a tutelare le persone perché con la loro esperienza e umanità sono importanti risorse che con il loro lavoro mandano avanti l’azienda stessa. Solo così le morti sul lavoro possono diminuire.
Risparmiare sulle vite dei lavoratori è controproducente per l’impresa in termini di costi diretti che indiretti.
I “costi diretti” sono i risarcimenti e le rendite per i superstiti del defunto e l’interruzione dell’attività lavorativa causata dall’infortunio che determina la perdita di produttività.
I “costi indiretti” sono dati:
- da scioperi o riduzione della produttività della forza lavoro a causa dei frequenti infortuni;
- dai costi degli straordinari che servono a recuperare il tempo perso a seguito dell’incidente e dell’assenza dei lavoratori coinvolti nello stesso;
- dal costo delle attività di indagine, compilazione di verbali e rapporti con le autorità di controllo;
- dalle inevitabili spese legali per i processi;
- dai costi di riqualificazione e di ricerca di lavoratori nel caso in cui a quelli infortunati venga modificata la mansione causa rotazione del personale caratteristica di ambienti di lavoro non adeguatamente sicuri.
Nell’epoca dei social anche un solo incidente sul lavoro per un’azienda è ulteriormente controproducente a livello di immagine soprattutto se ha conseguenze fatali danneggiando irreversibilmente l’immagine dell’impresa stessa.
Non ci sono norme, leggi, regolamenti in grado di tutelare la vita di un lavoratore quando dominano l’incoscienza umana e la mancanza di consapevolezza del rischio a cui i lavoratori sono esposti. Nonostante non manchino, tuttavia queste norme non vengono rispettate e ancora oggi si continua a risparmiare sugli investimenti nella sicurezza con gare d’appalto aggiudicate al massimo ribasso, a vantaggio degli imprenditori e che non sempre operano a regola d’arte nello svolgere le loro mansioni.
Non deve poi sorprendere il fatto che le pagine di cronaca nera, anche di recente, riportino notizie di morti sul lavoro a dimostrazione della totale indifferenza manifestata anche da chi, come i sindacati, dovrebbe con veemenza agire in difesa dei diritti di chi direttamente opera sul campo producendo ricchezza per se e per chi offre lavoro.
Meno soldi e meno diritti,
questa è la danza che s’ha da danzare,
il ballo del lavoro col capitale!…
Questo passaggio tratto dalla poesia La ballata dell’invalido di Gianni D’Elia del 2018 e scritta in occasione del primo maggio in memoria delle persone che hanno perso la vita sul posto di lavoro ci ricorda che i lavoratori non sono più considerati nella loro umanità ma sono solo strumenti da adoperare fino a quando sono funzionali alla prestazione perchè, senz’alcun scrupolo, il profitto viene prima di tutto.